Omelia in occasione della Festa della Presentazione al Tempio di N.S.G.C.
Descrizione

Carissimi fratelli e sorelle,

pur in tempo di pandemia, uniti spiritualmente a tutte le consacrate e i consacrati che vivono nella nostra Diocesi di Tivoli e di Palestrina, celebriamo la Festa della presentazione al Tempio di Gesù.

Dopo quaranta giorni dalla sua nascita, Maria e Giuseppe, obbedienti alla Legge, portarono Gesù nel Tempio per offrirlo a Dio. E così fu incontrato e riconosciuto dal vecchio Simeone come il Messia atteso, un Messia che poi sarebbe morto e risorto. E con Simeone fu riconosciuto dall’anziana vedova Anna che, costantemente al Tempio, sperava di incontrare l’atteso, colui che cercato dall’umanità, doveva entrare – secondo la profezia di Malachia – come angelo dell’alleanza, mandato da Dio per ricostruire l’alleanza distrutta dal peccato di Adamo donandosi per noi sulla croce.

Quel Bambino che finalmente incontrato, dopo anni di attesa, Anna con il senso dei fedeli che hanno anche i semplici lo seppe riconoscere, si mise a lodare Dio e a parlare di Lui a tutti coloro che attendevano la redenzione di Gerusalemme.

Le candele che la Chiesa in questo giorno, all’inizio della Messa usa benedire e introdurre nel tempio sono proprio segno di Cristo che entrato una volta per sempre nel Tempio lo illumina perennemente.

Sì, Lui è la luce vera, perfetta, che entra nel luogo del culto antico per illuminarlo con la sua novità. Ossia la novità di un Dio che viene a cercarci consumandosi per noi. Come la candela che bruciando, mentre illumina e rompe il buio al contempo si consuma, così Gesù: è la luce che entra nel buio della nostra vita, entra anche nel buio delle nostre fragilità, abitudini religiose che non sono fede, entra nel buio delle nostre paure, delle nostre carenze di gioia e di speranza – specialmente in questo tempo di pandemia con tutte le conseguenze che conosciamo – per portare la Sua luce. Quella luce che ha realizzato una volta per tutte morendo e risorgendo per noi appena fuori dalle mura di Gerusalemme.

E nello stesso tempo quelle candele accese segno dell’amore pasquale di Cristo per noi, ci dicono che anche noi, uniti a Lui dobbiamo essere come Lui.

Sì, anche noi, come Simeone e Anna – vecchi o anagraficamente o interiormente – siamo chiamati a gioire, perché se siamo qui è perché Lo abbiamo incontrato, anzi Lui in un momento della nostra vita si è fatto incontrare e comunicandoci il Suo Santo Spirito ci chiede di divenire a nostra volta luce. Luce per illuminare della luce di Cristo Risorto il nostro mondo, la nostra cultura e vincere con la luce che ci permette di vederci, di riconoscerci anche se mascherati, il buio che ci circonda e potrebbe farci paura.

Cari amici, a quaranta giorni dal Natale celebriamo dunque questa festa dell’Incontro. Incontro di Dio con noi e di noi con Dio. E proprio come accade quando scaldiamo e uniamo due candele, la cera diventa una, così diveniamo ogni giorno di più uno con Lui per essere con Cristo ciò che Lui desidera che siamo quando nel cuore del Vangelo di Matteo, nel discorso della montagna, Gesù ci dice: “Voi siete la luce del mondo!” (Mt 5.14).

Ma per essere vera luce del mondo dobbiamo dire poche parole e fare molti fatti. Siamo chiamati a uscire tutti dal vivere una vita mediocre, un cristianesimo spento per “Offrire i nostri corpi come sacrificio vivente” (cfr Rm 12,1).

Venticinque anni fa San Giovanni Paolo II volle far coincidere questa Festa con una giornata tutta dedicata alla preghiera per le anime consacrate. Una giornata nella quale pregare affinché non manchino mai nella Chiesa i consacrati, le consacrate, i frati, le suore, le donne che si consacrano nell’Ordine delle Vergini o nella clausura, gli eremiti. E volle questo sicuramente per esaltare la scelta di queste donne e uomini, sicuramente per stimolare tutti a offrire come loro i nostri corpi totalmente al Signore ma anche perché questa sia un Giornata per tutti loro per ripartire da quell’esemplarità di vita che si impara soltanto dal guardare a Cristo che si è offerto totalmente al Padre.

Essere consacrati significa essere come “separati” dal mondo per essere riservati a Dio. Ma nello stesso tempo, come Cristo, significa anche essere pienamente inseriti nel mondo per fare incontrare a tutti Colui che venendo nel mondo, morendo, risorgendo, donandoci il Suo Santo Spirito non si è disinteressato del mondo e in esso dell’uomo e dell’intera umanità. E oggi, mentre preghiamo per tutti i consacrati e le consacrate, specialmente per le comunità che in questi mesi sono state colpite dal Covid o si sono messe con generosità a servizio delle tante nuove povertà generate dalla pandemia o hanno continuato a servire le vecchie povertà acuite dal Covid, guardiamo a loro. E mentre preghiamo perché ci siano di esempio, guardiamo anche a noi.

Papa Francesco spesso ci ricorda che siamo tutti fratelli, che “di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri” dobbiamo e “siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale …” (Fratelli tutti, n.6).

Pertanto mentre oggi da qui ringrazio i tanti consacrati e le tante consacrate che vivono la loro offerta come Cristo al Padre, nella obbedienza, povertà e castità invitando così anche tutti coloro che consacrati non sono o lo sono soltanto in virtù del battesimo a guardare i loro esempi di disponibilità generosa al servizio per vivere la nostra vita come risposta a un dono di amore che viene dal Padre e ci precede. Nello stesso tempo chiedo a Dio che i nostri consacrati e le nostre consacrate siano sempre più fedeli non tanto e non solo ai loro fondatori o fondatrici – che sicuramente nelle epoche in cui sono vissuti sono stati per loro esemplari nello sbriciolare il Vangelo – ma a Colui per cui anche i loro fondatori e fondatrici hanno vissuto.

In questo tempo nessuno, e tanto più chi è consacrato in maniera specifica, può pensare soltanto a se stesso, alla propria famiglia religiosa, alla propria comunità, ai propri piccoli interessi …

Nessuno può pensare di chiudere comunità, scuole, vendere immobili spesso frutto di sacrifici e offerte anche dei fedeli del luogo senza avvisare previamente il Vescovo per vedere di salvare il salvabile, senza fare il possibile anche per convertire le strutture lasciate vuote in luoghi da mettere a servizio della comunità locale o di altre comunità religiose. Nessuno pensi di poter bastare a se stesso come quando i numeri delle vocazioni, almeno in Italia, erano incoraggianti. Impariamo tutti: Vescovo, preti, cristiani, consacrati e consacrate a lavorare insieme in quel vasto campo che è il mondo e ad offrirci insieme al Padre, come candele che ardono e si consumano affinché tutti trovino in ogni nostra casa, in ogni nostro cuore un luogo per incontrarsi con Colui che venendo nel mondo si è fatto incontrare. Che tutti impariamo a parlare meno di Dio ma più con Dio e a compiere fatti concreti a favore delle famiglie, dei ragazzi, dei giovani e degli anziani, dei poveri che devono vedere i consacrati pieni di Dio e quindi aperti agli altri con gioia, con capacità di infondere coraggio e speranza nel cammino duro della vita ma che, sappiamo avere una meta: la vita eterna! Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina

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