Pecore di un buon pastore – Riflessione sulla quarta Domenica di Pasqua
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L’interpretazione delle letture di oggi potrebbe essere comoda, per noi. Ci si potrebbe fermare alla contemplazione: Cristo è il buon pastore, non potremmo avere una guida e una protezione migliore! Cristo è la nostra salvezza, e non esiste cosa, valore o uomo («sotto il cielo», dice san Pietro) che possa essere più efficace di Lui. Dio ci ha chiamati suoi figli, «e lo siamo realmente», scrive san Giovanni. Non ci può essere onore più grande. Ce n’è abbastanza per bearsi di questi doni e sostare tranquilli e inoperosi nei rigogliosi pascoli del Signore.
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me... e do la mia vita per le pecore». Conoscere, nella tradizione biblica, è un verbo dal significato più ampio di quello che gli diamo noi oggi. Non si tratta di conoscenza superficiale (ne ho sentito parlare), né intellettuale (ho approfondito le sue idee), né amicale (ci tengo a lui, ma non siamo sempre d’accordo). Si tratta di sentirsi parte l’uno dell’altro, di pensare e operare all’unisono. Gesù mostra quanto conosce il Padre dall’amore con cui muore per le sue pecore. Noi conosciamo Gesù nella misura in cui offriamo la vita per le sue pecore, ossia i nostri fratelli.
Essere figli di Dio è un grazia e una responsabilità: significa avere a cuore tutti, anche quelli che non «provengono dallo stesso recinto». E impegnarsi per costruire l’unità.
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- Date: 25 Aprile 2021